Cadono. Come foglie d’autunno.

Cadono.
Come foglie d’autunno, si staccano e volano via; e se ne vanno, anche le più grandi e le più belle: giallo oro, rosso fulgido, marrone castagna…

Se il vento soffia forte, quando giunge la tempesta, quando esplode la burrasca, nulla può neache l’albero più forte per evitare che ciò accada, cioè che le sue foglie, anche le migliori, le più salde, si stacchino e volino via…

Cadono. Come foglie nell’autunno della vita, tante troppe esistenze. Sta volando via, in questa inattesa violenta burrasca, la generazione di coloro che hanno costruito e ricostruito l’Italia, i nostri paesi, le nostre famiglie, le nostre comunità, le nostre associazioni.

Raccogliere le foglie in autunno è importantissimo!

Le statistiche, impietose, ce lo ricordano: l’età media di coloro che stanno scomparendo, giorno dopo giorno, in questa impietosa pandemia, è di circa 79 anni. Anziani che volano via, spesso soli, abbandonati in un asettico casco, senza fiato, loro che il fiato lo hanno speso per ricostruire tutto: mondo, vita, famiglia; hanno fatto rinascere un Paese dalle macerie postbelliche.
Quel fiato speso per dare consigli, sottovoce, parole sussurrate in un mondo che urla, sta esalando l’ultimo alito.

In un mondo ingrato, in cui la loro lentezza è d’insegnamento e monito alla nostra troppa fretta.

Questa silenziosa strage sta sbriciolando la memoria dei piccoli paesi, di chi ricorda i racconti dell’Ottocento, di chi ha imparato a far tesoro di tutto, dal foglio di carta al ciocco di legno, dal pane raffermo, al cibo (che non si butta. MAI). Cresciuti prima del consumismo, pionieri di una nuova società, quella post-industriale, che prima li ha “spremuti”, e poi li ha accantonati. Come roba vecchia, usata. Inutile.
E se ne stanno andando, in tanti, nelle loro case, o, in un numero sempre crescente, nelle case di riposo.

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Se ne stanno andando, in silenzio e in fila, in quelle bare caricate sulle colonne indimenticabili di camion militari, in ordine, com’era nel loro essere, com’erano stati abituati a vivere.
Composti e rispettosi, comunque, come quando a scuola – loro – si alzavano ordinatamente quando entrava l’insegnante. A cui davano del “voi”.
Mai succubi, mai domi, sono della generazione che ha rivoluzionato la società e il vivere quotidiano.

Ci hanno lasciato in eredità un mondo nuovo ricostruito tra sacrifici e fatiche, ma con tanta gioia: fautori e costruttori dell’attuale tessuto economico e sociale, e di un ritrovato (e meritato) nuovo benessere…
Quanto hanno costruito! Quante libertà hanno conquistato, quanti mondi hanno visto succedersi, sempre più di fretta, sotto i loro occhi!
Forse un mondo diventato troppo tecnologico, per loro che erano abituati alla zappa, alla fatica e alla televisione in bianco e nero. Un mondo che non ha fatto sconti….

I nostri vecchi sono la colonna vertebrale della nostra società attuale, radici ed origine di affetti e famiglie: un mondo che si sta sgretolando, che non tornerà più.

Loro, che hanno sfilato in piazza, scioperato, cantato coi Beatles e i Rolling Stones, che ricordavano il primo Sanremo, le partite alla radio, la TV soltanto alla cooperativa per vedere, tutti insieme, (senza distanziamento sociale) “Lascia o Raddoppia”; quelli che hanno protestato per ottenere le libertà civili che oggi consideriamo assodate in una società libera, ma che invece loro hanno guadagnato, metro su metro.

Sono gli ultimi che hanno lottato per il voto alle donne, sono quelli del corteggiamento “da lontano”, la domenica in chiesa (gli uomini in un settore, le donne in un altro), del fidanzamento, del chiedere la mano (ma anche quelli dell’aborto e del divorzio…)
Quelli che hanno sconfitto la logica del padre padrone e a cui dobbiamo esser grati per la parità ottenuta -almeno sulla carta – per noi, gentil sesso. Tutto grazie a loro. Una generazione che ha fatto della forza la propria vita, e a cui adesso, la vita -madre matrigna-, sta togliendo ogni forza.

Ed è straziante questo stillicidio quotidiano di nonni e prozii che riusciamo solo a salutare dentro quattro assi di legno, che se ne vanno senza nemmeno la dignità di un estremo saluto di consolazione, di un funerale – che rincuora più chi rimane che non chi se ne va – ma che si erano dignitosamente meritati.

Forse, solo ora che se ne stanno volando via, caduche foglie ormai rinsecchite, ci stiamo rendendo conto del loro vero valore.

L'Aula di Scienze riapre i battenti | Zanichelli Aula Scienze

Altrimenti…

Altrimenti nella nostra società consumistica e utilitaristica, spesso (non sempre!) gli anziani sono considerati più un peso che un dono.

Ma storicamente, purtroppo non siamo i primi.

Gli anziani nella storia.

Nelle antiche civiltà gli anziani, i saggi rivestivano un ruolo centrale a livello familiare e sociale, e fino a qualche anno fa erano rispettati e venerati, fonte di consigli, dell’esperienza e della saggezza soprattutto per le piccole comunità. Nelle antiche civiltà, sia in Occidente che in Oriente, gli anziani erano rispettati in quanto depositari della conoscenza dei metodi per cacciare e coltivare.

La civiltà ateniese, invece, molto ci somiglia: infatti, ad Atene, si esaltavano perfezione, bellezza, forza, e giovinezza, e perciò la decadenza degli anziani era inaccettabile. Al contrario, a Sparta, i vecchi erano considerati i saggi, sopravvissuti a tante battaglie, meritevoli di far parte della gerusia, (l’assemblea degli anziani) che deteneva il massimo potere per definire leggi, educazione e giustizia.

Aristotele (delude, da questo punto di vista), sosteneva che, decadendo il corpo, lo stesso capitava alla mente e pertanto gli anziani erano da ritenere inutili, in attesa della morte.

Platone, (compimenti!) riconosceva che, malgrado la decadenza fisica, saggezza e virtù si preservavano nell’anima: perciò agli anziani spettava il governo della polis.

Cicerone, duro e fin troppo crudo, scriveva:
“Trovo quattro motivi che fanno sembrare la vecchiaia infelice.
Primo: allontana dalle attività.
Secondo: indebolisce il corpo.
Terzo: priva di [quasi] tutti i piaceri.
Quarto: è a un passo dalla morte.”

Marco Tullio Cicerone: le frasi celebri dell'illuminato filosofo ...

Però difendeva la partecipazione degli anziani alla vita politica: “Le grandi cose non si fanno con la forza o con la velocità o con l’agilità del corpo, ma con la saggezza, con l’autorità, con il prestigio delle quali virtù la vecchiaia […] ne è arricchita”

Anche Seneca fu duro: “Ma se il corpo non assolve più le sue funzioni, non è meglio liberare l’anima dalle sue sofferenze?”

La Roma “caput mundi” del II secolo a.C. affidò il potere agli anziani.

Quello a cui stiamo assistendo oggi, accadde già nel XV secolo in Europa, proprio nel momento in cui si stava cercando di allungare l’età media delle persone: da quel secolo, in poi, per almeno trecento anni, l’incessante succedersi di pestilenze, carestie ed epidemie, determinò un calo drastico dell’età media: si giunse a minimi angoscianti: 34 anni per le donne e 28 per gli uomini.

Furono secoli in cui i pochi vecchi sopravvissuti ricoprivano posizioni di prestigio. Purtroppo, a fasi alterne nel tempo, negli ambienti più poveri, i vecchi furono considerati inutili e disprezzati e, se donne, paragonate a malefiche streghe, spesso abbandonati ed emarginati.

Nel Rinascimento, se da una parte si proseguì nella ricerca dell’elisir di lunga vita, all’altra si assegnarono agli anziani ruoli politici strategici, perlomeno nelle classi sociali più abbienti, Massimo rispetto fu decretato all’età senile, depositaria di memorie ed esperienze utili ai posteri.

Fu davvero innovativa l’Inghilterra ove nacquero i primi ospizi, pensati come case di carità (e non come deposito!), come ricovero per gli anziani, aperte anche ai più poveri. L’Illuminismo identificò nella vecchiaia la condizione attiva e positiva, da cui poi derivarono le prime forme di assistenza e pensione.

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Il progresso della medicina fece passi avanti anche in ambito geriatrico, determinando un incremento sempre crescente del numero degli anziani nella società… Una società – quella che ci hanno raccontato i nostri nonni, in cui, per l’ennesima volta nella storia, si riconobbe e si sancì l’importanza di chi oltre ai capelli bianchi, poteva vantare saggezza e dispensare buoni consigli.

Quando si diventa anziani?

Nei tempi antichi, si era anziani a 30 anni; fino a metà del secolo scorso, si diventava “vecchi” varcata la soglia dei 60.
Oggigiorno definire “anziano” un “under 65” (o under 70!) è quasi riprovevole.

E per fortuna! Significa che un numero sempre maggiore di persone, anche over 70 gode di buona salute, entusiasmo e forza.

In realtà, già in un testo del 1556 si sosteneva che vecchiaia durasse fino ai 70 anni.

Pure Dante, il “Sommo Poeta” nel suo Convivio, sosteneva che la maturità, dai 45 ai 70 anni, fosse inevitabilmente seguita dalla decrepitezza, fissata dai 70 anni in poi.

E oggi?

Le aumentate condizioni di benessere, i progressi medici e la speranza di vita allungata nelle società occidentali, ci rendono anziani solo molto più tardi rispetto al passato. Tutto però, segue una logica (quella del profitto): se ci costringono a “lavorare” fino a 65 anni, mica possiamo definirci “anziani”? O no?

E poi dopo?

D’improvviso si diventa anziani e di conseguenza, “inutili” … cioè un peso per la società? Forse, è così, perlomeno da punto di vista del business.

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In questi primi anni 2000, abbiamo assistito impotenti al sempre crescente dirompere di idee legate al concetto “utilitaristico” dell’esistenza, il cui valore (è davvero così?) viene determinato in base alla sua produttività economica.

Spesso vecchiaia diventa sinonimo di sopravvivenza, di attesa della fine.

Ci siamo dimenticati di quanto preziosi siano “i nostri vecchi”: pur malati, fragili e indeboliti, sono stati coloro che hanno ricostruito l’Italia nel dopoguerra, sono stati i fautori del boom economico. Quelli che si sono emozionati per il primo uomo sulla Luna, che hanno fatto i figli dei fiori e le domeniche a piedi senza petrolio, quelli che hanno vissuto gli anni di piombo e che se ti parlano di Carosello gli si accende ancora una luce di nostalgia negli occhi. Quelli del cinematografo e della Bianchina, delle fatiche – quelle vere – e delle famiglie con almeno tre o quattro figli.
Quelli degli occhialoni con le montature giganti e i jeans a zampa di elefante, quelli che hanno ottenuto l’istruzione obbligatoria, e taluni sono ancora fra quelli che hanno imparato a leggere e scrivere grazie al maestro Manzi, in tv.

Sono quelli che ci possono insegnare cosa significa “non sprecare” e “mettere da parte”: un tovagliolo, una conoscenza, un libro. Perché per parecchi di loro, nulla era scontato. Ogni cosa, dalle scarpe per la domenica al pennino per scrivere a scuola, era preziosa.

Boom economico

Sono quelli che non hanno familiarità con il moderno “usa-&-getta” e adesso, dopo averli usati, li stiamo gettando via. Col loro carico di storie, di racconti, di vita.

Non dobbiamo e non possiamo dimenticare che i “nostri anziani” sono tesori preziosi, da custodire e accudire, sono le colonne (pur fragili) delle nostre famiglie, da cui abbiamo ereditato tutto: la vita, la civiltà e la società. E tanta, tanta dignità.

Non dimentichiamoci di questi vecchi, in questa sterile società globale che li vuole vittime sacrificali predestinate.

Il loro ricordo sia prezioso, importante e custodito. Come la loro vita.
Sempre.

Le nostre memorie e le nostre radici.

Che questa bufera sta spezzando, … E loro, foglie ormai fragili, volano via, in silenzio, a migliaia.

In questa primavera che nel cuore sembra molto più simile all’autunno.

Awesome walking path | Fall background, Fall wallpaper, Autumn ...

Ciao

Ieri è volata via, l’ultima foglia sul ramo della generazione dei miei nonni. Suo marito era fratello del mio nonno materno; classe 1923, ha avuto il dono di una lunga vita; donna forte, di grande tempra, e spalle larghe, che ha vangato campo e orto fino a pochissimi anni fa, anche dopo aver superato gli ottant’anni.

Un’altra generazione, un’altra tempra.

Anche i miei figli la ricorderanno -già anziana – per le quantità industriali di cioccolato che generosamente elargiva a piene mani. Come quando sciorinava racconti e consigli.

Abbiamo festeggiato i suoi 95 anni, due anni or sono, dandoci appuntamento ai 100. Forse, ce l’avrebbe fatta se non ci fosse stato questo tsunami?
La risposta, come la sua anima, è nelle mani di Dio.

Ciao, zia Luigia.

Con la zia, alla festa dei suoi 95 anni

Pubblicato da stefypedra73

Effervescente, eclettica, multitasking.. un concentrato di energia e di gioia, sorrisi come arma ... imprevedibile e curiosa. Amo leggere, viaggiare, cantare, suonare, il teatro, l'arte e ... sono mamma, e lavoro come IngegnerA (e Giornalista)

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