27 Marzo 2020 CAMPANE E SIRENE – Credenti o meno, stasera abbiamo vissuto la Storia. Piazza san Pietro, pioggia incessante, un papa solo.
Vecchio, sfinito, mai domo.
Un grido, un’implorazione, innalzata al cielo.
Preghiera universale: nella sua voce, la sintesi di tutte le nostre voci, di milioni di voci, di tutti i “poveri Cristi del mondo”, che rimbomba nell’eco inconsueta di una piazza deserta. Emblema del vuoto che ci attanaglia.

Vuota, ma mai così piena.
Colma di preghiera, che si univa, lì in quell’immenso incessante silenzio in un unico grido, innalzato al cielo. Potenza del silenzio e della preghiera.
Tutti: uomini, donne, senza distinzione di credo, razza, età, nazionalità, in questo momento tremendo, siamo qui, tutti sulla stessa barca, in “mezzo alla tempesta”.
Lacrime di pioggia su quel Cristo crocifisso che incarna la sofferenza sovrumana di chi lotta, di chi lavora, di chi non ce la fa. Le nostre lacrime.

E dopo il silenzio, la potente benedizione, quando al suono delle campane di san Pietro si sono mescolate le sirene delle ambulanze.
Un’eco che ci risuonerà dentro, per sempre.

È strano “sentirsi parte della Storia, quella con la “S” maiuscola, e rendersene conto. Spettatori e comunque protagonisti di un evento di portata epocale, la cui potenza varca confini, diffidenze, differenze.
La stessa sensazione provata assistendo inermi, l’11 settembre, all’abbattimento delle Torri gemelle.
Oggi, 27 marzo 2020, lo stesso.
“Siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo trovati su una stessa barca fragili e disorientati, ma allo stesso tempo importanti e necessari, chiamati a remare insieme e a confortarci a vicenda. Su questa barca ci siamo tutti. E ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo. Ma solo insieme. Nessuno si salva da solo”.
Mai così lontani, mai così tanto uniti.
Eredità di questo impensabile momento storico sarà la consapevolezza di non esser soli: per chi crede, c’è Dio, e, accanto, quaggiù, c’è il conforto del prossimo, “degli altri”…
Tutti umani, fragili, accomunati dallo stesso senso di appartenenza, che ci affratella.
Tutti sulla stessa barca.
E mai come in questo momento di imposta solitudine, ci cerchiamo, ci troviamo, comunichiamo e ci uniamo. Sì, siamo più uniti e – spero – più consapevoli.
Perché “gli altri siamo noi.”
Mai come ora.
“Sono stanco, anima mia,
troppo a lungo è durato il mio vagare,
il cercarmi al di fuori di me.” (Jung, Libro Rosso, Anima e Dio)
In un’immagine, un’ora di collegamento, la sintesi di questo momento storico: la solitudine, di un papa, da solo. Quella di ognuno di noi.

Il sentirsi perduti.
In balia della tempesta.
Ci porteremo appresso i dolori, squarcianti, lo strazio delle bare, delle sofferenze, dei reparti di terapia intensiva; ma non solo le sofferenze fisiche: non scorderemo facilmente i bollettini che quotidianamente stillano numeri sempre più tremendi e i’inevitabile carico di sofferenze e di piaghe dell’anima, per tutti, da cui sarà ancora più difficile guarire.
È scesa la sera, e le tenebre ci attanagliano. La speranza e la fede nel Cristo, che mai ci abbandona, ci siano di conforto e di sollievo. Cerchiamo di volgere lo sguardo in cielo per trovare la Luce.
“Si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa…”
La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità, […] con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri ‘ego’ sempre preoccupati della propria immagine…
La pandemia ha scoperchiato la vacuità delle “certezze” umane che ci eravamo costruiti: non ci sono né soldi, né fama, né successo, di fronte alla peste.
Ci ha messi di fronte alle VERE priorità e quei valori che spesso davamo per scontati. Ci ha dato tempo per vedere le nostre mancanze, la nostra piccolezza, e per rendercene consapevoli.

“Siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto, avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. […] Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato, ora, mentre stiamo in mare agitato, ti imploriamo: ‘Svegliati Signore!’.
Ci sentivamo “dio”, invincibili.
Già.
Poi, come se ci avessero dato una sberla, uno di quegli schiaffoni che si ricevono una o due volte nella vita, ma che, da piccoli, hanno lasciato il segno, ci siamo dovuti rendere conto che … dio non eravamo noi.
Ora, da Lassù vivo, impetuoso giunge il richiamo a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. “Non è il tempo del giudizio divino, ma del nostro giudizio: il momento giusto per soffermarci a pensare e scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. Il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri, guardando a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita”.
Proprio adesso, nel momento in cui umili, ridimensionati ed impauriti, si potrebbe puntare il dito, contro di noi, per ricordarci quanto siamo nudi di fronte alle nostre colpe ed alle nostre paure, divampa lo splendore del messaggio cristiano universale, che va controcorrente ed esplode nella sua potenza: malgrado tutto, malgrado “noi”, Dio ci ama.
Talmente tanto da perdonarci, se questo è il desiderio che si cela nel nostro cuore contrito e frantumato.
Questo papa ha fatto una cosa ancor più cristianamente sconcertante, l’unica di fatto che potesse “arrivare” ai fedeli lontani.
Non un sacramento (che non si può trasmettere attraverso i media), non la Messa, che comunque già celebra ogni mattina.

Ma ha donato, indiscriminatamente a tutti, in mondovisione, il perdono di Dio. La benedizione “Urbi et orbi” senza “se” e senza “ma”. Il solo desiderare l’immenso perdono di Dio, – che non è un bollino del supermercato – oggi ci ha avvolti dell’infinita misericordia di un Dio-amore che ci ama, sempre e comunque. Anche se, parlo in primis per me – ai suoi occhi mica sempre ci siamo resi “amabili”.
Lo ha fatto in questo momento surreale, in cui anche chi crede, fa fatica a crederci.
Vacilliamo, Signore.
E tu dormi sulla barca.
Il Signore ci interpella e, in mezzo alla nostra tempesta, ci invita a risvegliare e attivare la solidarietà e la speranza capaci di dare solidità, sostegno e significato a queste ore in cui tutto sembra naufragare. […] abbiamo un’ancora: nella sua croce siamo stati salvati. Abbiamo un timone: nella sua croce siamo stati riscattati. Abbiamo una speranza: nella sua croce siamo stati risanati e abbracciati affinché niente e nessuno ci separi dal suo amore redentore.
Non la vediamo più, quell’ancora, quel timone.
Si è spenta la Speranza.
Sappiamo che la Resurrezione passa attraverso il sangue della Croce.

«Perché avete paura? Non avete ancora fede?».
Signore, la tua Parola stasera ci colpisce e ci riguarda, tutti.
Il grido, umano e indifeso è questo: ridonaci la Fede, ridonaci la capacità di vedere ed aiutare il fratello nella Carità.
Ma soprattutto, mio Dio, ridonaci la Speranza.
[…] “Ci chiedi di non avere paura. Ma la nostra fede è debole e siamo timorosi. Però Tu, Signore, non lasciarci in balia della tempesta” (Papa Francesco)
E di certo, stasera, non eravamo soli in piazza San Pietro.

(Immagini tratte dai media nazionali o riprese dalla TV)
Mi ha fatto sgomento vedere la piazza vuota,mi ha fatto tenerezza Francesco,il suo viso trasmetteva tutta la nostra preoccupazione,il suo essere solo era il nostro smarrimento.
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