21 Marzo 2020 È passato solo un mese, – peraltro mese bisesto – dall’inizio di tutto, dall’esordio di quello che – se ci ripenso – allora sarebbe stato inimmaginabile; pare un secolo, a ben guardare, eppure sembra ieri che viaggiavamo, lavoravamo, ci incontravamo…
Quella che fino ad un mese fa era considerata la nostra supersonica “vita normale” è stata spazzata via in un soffio, da un nemico invisibile. Il virus del contrappasso, come lo ha definito il sociologo Francesco Morace.

(come tanti altri monumenti colorati dal tricolore)
“Potremmo chiamarlo il Virus del Contrappasso.
Potenza invisibile nell’era della visibilità.
Minaccia il respiro, ma migliora la qualità dell’aria.
Costringe a casa le famiglie, ma riconsegna ai genitori il ruolo di educatori. Relativizza l’intelligenza artificiale vendicando il mondo animale più selvatico. Ridicolizza l’opinione del popolo valorizzando la competenza degli esperti. Penalizza il contatto fisico dimostrandone l’insostituibilità.
Elimina gli eccessi dando forza all’essenziale.
Favorisce lo smartworking chiarendone i limiti di intelligenza.
Elimina gli alibi maschili parificando i ruoli domestici.
Isola le persone indicando il bisogno di reciprocità.
Non credo al castigo biblico, ma Dante era un genio.“
Un mese fa, sul treno Brescia-Milano il primo incontro con le mascherine (la donna e la figlia nei sedili dall’altro capo del corridoio la indossavano), e questo, allora, mi era parso davvero molto molto strano.
Un campanello d’allarme.
Indizi concreti di quanto tutto stesse diventando vicino, reale.
L’inimmaginabile.
Poi le notizie: due focolai, Codogno (LO) e Vo’ (PD).
Il sangue che mi si gela nelle vene: per me, c’era poco da scherzare, le mie due trasferte erano giusto state nelle due sedi di Lodi e di Monselice, ad un passo, entrambe, dai due focolai dell’epidemia/pandemia.
Ma la consueta voglia di vivere prevaleva: giusto giusto quella sera, sulla nostra TV locale (Espansione TV, Como) veniva trasmessa la nostra trasmissione, quella in cui ero stata ospite con dei compaesani a parlare del nostro storico Carnevale di Schignano: il mercoledì precedente avevamo registrato negli studi il racconto e la vestizione delle figure mascherate, con tanto entusiasmo e spensieratezza.
Spensieratezza ormai antica.
Così, temo, non tornerà. Perlomeno non in tempi brevi.
Ma i dubbi e le preoccupazioni cominciavano a rincorrersi: chi la definiva una catastrofe (come si è poi rivelata), chi minimizzava, definendola “poco più di un’influenza“.
Sembra un’era geologica, questo mese.
Un’era in cui son passati i dinosauri in miniatura e la glaciazione del cuore.
Un crescendo di restrizioni e impedimenti, poco alla volta l’inimmaginabile diventava realtà e si andava concretizzando sotto i nostri occhi.
Sembra assurdo ripensare che quella sera fossi rammaricata per la stanchezza, tanto da non riuscire a potermi alzare l’indomani all’alba per carnevale, come da secolare tradizione, per quello che personalmente considero il momento più magico e suggestivo del nostro folklore.
Sembra incredibile la soddisfazione per quei giorni: dopo aver lavorato alacremente, ci attendeva un weekend di festa, quella attesa tutto l’anno.
E il massimo della preoccupazione? Le previsioni meteo, che erano pure propizie: dopo mesi di tiepido sole, in cui l’inverno aveva latitato, anche quel sabato grasso si preannunciava splendido.
I timori serpeggiavano, le notizie si rincorrevano come schegge impazzite, era l’inizio del rovesciamento del mondo. Qualcosa che ci avrebbe tutti stravolti, stupefatti, certo trovati impreparati.
L’inizio della rivoluzione del nostro frenetico quotidiano vivere.
Un crescendo di restrizioni, il sabato avremmo festeggiato carnevale, quasi certi che il martedì potesse essere cancellato – ipotesi storicamente sconcertante, a bene vedere, puntualmente realizzata -. Ancora non lo sapevamo, quella domenica sarebbe stata l’ultima messa celebrata in chiesa, fino a chissà quando: ricordo la preghiera del parroco per i fedeli di Codogno, già in quarantena, già senza celebrazioni, che auspicava “Speriamo che questo non capiti anche a noi.”
E poi, un crescendo: dalla chiusura delle scuole, all’annullamento delle attività, degli assembramenti, degli incontri #iorestoacasa. Lo slogan purtroppo recepito tardi, snobbato da molti, cosa che ha favorito la diffusione esponenziale del contagio: fino a stasera, chiusura di tutto, anche delle fabbriche, dopo un mese di quarantena più o meno volontaria, dettata dapprima più dal buon senso che dalla convinzione, tramutatasi in consapevolezza, giorno dopo giorno.
Con il numero dei contagi e delle vittime che cresceva, inarrestabile.
Con il numero degli ospedali allo stremo, qui, sempre più vicino.
Si è davvero realizzato l’inimmaginabile.
Fino a quel momento eravamo stati felici, ma forse, solo di rado ce n’eravamo accorti.

Tristezza va. Una canzone il tuo posto prenderà…”
(Cit. La Compagnia, Vasco Rossi)
Che sia un fake o no, mi ha fatto emozionare.
E non importa cosa sia, è l’emozione ciò che conta.
Un messaggio di Speranza, comunque.
Ecco la probabile versione originale – non del 1800, – della poesia di Irene Vella e non della famigerata Kitty O’Meary.
Comunque sia è bella, comunque è utile, adesso.
Era l’11 marzo del 2020,
le strade erano vuote,
i negozi chiusi,
la gente non usciva più.
Ma la primavera non sapeva nulla.
Ed i fiori continuavano a sbocciare
Ed il sole a splendere
E tornavano le rondini
E il cielo si colorava di rosa e di blu
La mattina si impastava il pane e si informavano i ciambelloni
Diventava buio sempre più tardi e la mattina le luci entravano presto dalle finestre socchiuse
Era l’11 marzo 2020
i ragazzi studiavano connessi a discord
E nel pomeriggio immancabile l’appuntamento a tressette
Fu l’anno in cui si poteva uscire solo per fare la spesa
Dopo poco chiusero tutto
Anche gli uffici
L’esercito iniziava a presidiare le uscite e i confini
Perché non c’era più spazio per tutti negli ospedali
E la gente si ammalava
Ma la primavera non lo sapeva
e le gemme continuavano ad uscire
Era l’11 marzo del 2020
tutti furono messi in quarantena obbligatoria
I nonni le famiglie e anche i giovani
Allora la paura diventò reale
E le giornate sembravano tutte uguali
Ma la primavera non lo sapeva
e le rose tornarono a fiorire
Si riscoprì il piacere di mangiare tutti insieme
Di scrivere lasciando libera l’immaginazione
Di leggere volando con la fantasia
Ci fu chi imparò una nuova lingua
Chi si mise a studiare
e chi riprese l’ultimo esame che mancava alla tesi
Chi capì di amare davvero separato dalla vita
Chi smise di scendere a patti con l’ignoranza
Chi chiuse l’ufficio e aprì un’osteria con solo otto coperti
Chi lasciò la fidanzata
per urlare al mondo il suo amore per il suo migliore amico
Ci fu chi diventò dottore
per aiutare chiunque un domani ne avesse avuto bisogno.
Fu l’anno in cui si capì l’importanza della salute e degli affetti veri
L’anno in cui il mondo sembrò fermarsi
E l’economia andare a picco
Ma la primavera non lo sapeva
e i fiori lasciarono il posto ai frutti
E poi arrivò il giorno della liberazione
Eravamo alla tv e il primo ministro disse
a reti unificate
che l’emergenza era finita
E che il virus aveva perso
Che gli italiani tutti insieme avevano vinto
E allora uscimmo per strada
Con le lacrime agli occhi
Senza mascherine e guanti
Abbracciando il nostro vicino
Come fosse nostro fratello
E fu allora che arrivò l’estate
Perché la primavera non lo sapeva
Ed aveva continuato ad esserci
Nonostante tutto
Nonostante il virus
Nonostante la paura
Nonostante la morte
Perché la primavera non lo sapeva
Ed insegnò a tutti
La forza della vita.