CENTOMILA MORTI PER COVID. Centomila requiem.
Oggi, nel cuore, accendo centomila candele, anzi di più. Perché dietro a questo numero ci sono centomila visi, volti, età, storie…. e altrettante famiglie provate dal lutto, dalla lontananza, dalla separazione… 8 Marzo 2020, un anno fa. Iniziava un lungo calvario, di cui non immaginavamo né impatto né durata. La famosa fuga al Sud in treno (noi qui nel profondo Nord eravamo già in pieno lockdown dal 23 febbraio)Siamo oggi a 100.000 morti. CENTOMILA.

A prescindere dalle polemiche in merito alle modalità di contabilizzazione delle vittime della pandemia, non possiamo restare indifferenti ad un numero così incredibile.CENTOMILA. Sono le lettere che compongono un libro di 150 pagine (un tomo), sono i chilometri per coprire due volte e mezzo il giro della Terra lungo l’equatore… sono i granelli di sabbia in due pugni… sono il Cammino di Santiago percorso 125 volte… Oggi, rispetto a quell’8 marzo surreale, dopo 366 giorni, abbiamo occhi pieni di pianto, tristezza, in alcuni casi rassegnazione, in tanti paura.Vedo sguardi colmi di rabbia, altri di disperazione. Sguardi annebbiati da troppe ore dinanzi ad uno schermo in attesa di raggi di sole e di abbracci che si spera torneranno presto. In pochi, scorgo indifferenza o menefreghismo (ma ce ne sono).

Bedeschi titolò il suo capolavoro “Centomila gavette di ghiaccio”, tante quante le vittime alpine stimate nella tragica spedizione in Russia durante la seconda guerra mondiale (un libro crudissimo, ma da leggere – la sua autobiografia); oggi, purtroppo, centomila sono i polmoni di ghiaccio, nel freddo delle terapie intensive… nelle bare portate via dall’esercito. Ma ancor di più sono le speranze di ghiaccio, per i milioni di persone rimaste senza un affetto, senza lavoro, senza speranza.
Un anno fa, ci speravamo ancora.
Chi cantava sui balconi, chi vedeva un barlume di futuro all’orizzonte.
Oggi non più note, non più luce, e se c’è, sembra ancora troppo fioca…
Oggi, un anno dopo, siamo coscienti di ciò cui andiamo incontro. Siamo tutti più svuotati e più cattivi.

Quanto di brutto, disorganizzato e malgestito c’è stato nel frattempo è sotto gli occhi di tutti. Speriamo nei vaccini: la nostra speranza, forse, è in centomila fialette nel ghiaccio.